Curioso il destino della gastronomia, disciplina per secoli (millenni) figlia di un dio minore e, ora che s’è guadagnata l’attenzione che merita, costretta a fare i conti con la crisi dell’editoria tradizionale. A pensarci, il boom dell’ultimo ventennio non ha ancora partorito manuali che tratteggino un compendio completo di storia della gastronomia (o delle cucine, o della ristorazione), come già accaduto alle altre materie che hanno inciso sulla definizione di Occidente (“storia storia”, storia della filosofia, storia della musica, storia della scienza, storia del teatro, storia della medicina…). C’è una carenza di testi ancora tale sulla materia che, quando vogliamo tratteggiare la linea storica dei cuochi che hanno innovato nei decenni il mestiere, occorre sommare più libri.
Non c’è dubbio che, nel panorama della storia della cucina italiana, reciti un ruolo di primo piano “Cronache Golose” (Slow Food editore), il lavoro che i due gastronomi Marco Bolasco e Marco Trabucco firmarono nel 2011 per rievocare e riassumere i profili dei 50 cuochi che avevano scritto la storia della ristorazione dell’ultimo mezzo secolo. Era un agile volumetto che dedicava a ciascuno dei protagonisti dalle 2 alle 5 pagine, a seconda dell’importanza o dell’influenza effettiva sugli epigoni.

Mirella e Peppino Cantarelli, Trattoria Cantarelli, Samboseto (Parma)

Giancarlo Godio, ristorante Genziana in Val d'Ultimo, Bolzano

Franco Ricatti, ristorante Bacco, Barletta
Oltre ai nomi dei grandi noti – da
Gualtiero Marchesi a
Massimo Bottura, da
Aimo Moroni a
Fulvio Pierangelini, da
Nadia Santini a
Davide Scabin – era interessante per noi studiare i cuochi dimenticati o misconosciuti ma non per questo meno importanti nella portata innovativa. Abbiamo letto a più riprese i profili di
Mirella e
Peppino Cantarelli da Samboseto (Parma), due straordinari interpreti «che incrociarono i piatti delle corti della Bassa con quelli della cucina alta della corte parmense». Dei fratelli
Giorgio e
Franco Gioco dei
12 Apostoli di Verona, insegna da poco investita da una
seconda nouvelle vague. Abbiamo assaporato i leggendari
Spaghetti alla lampada dell’incompreso
Angelo Paracucchi, umbro trasferito alla
Locanda dell’Angelo, nell’estremo levante ligure. E ancora, la maestra
Pina Bellini e la sua
Scaletta a Milano, l’avvocato
Franco Ricatti del
Bacco di Barletta, l’epopea del
Gatto Nero a Torino…
In tutto questo, c’è un però: dalla pubblicazione di “Cronache Golose” sono passati quasi 10 anni, un lasso di tempo molto denso, nel quale cioè si sono dette più cose di quante non se ne sono dette nell’ultimo mezzo secolo. Una motivazione più che sufficiente per eseguire un
update. È nato così in questi giorni “La vita segreta dei cuochi”, sottotitolo “Il dietro le quinte dei ristoranti che hanno fatto la storia della cucina italiana”, edito questa volta da Giunti,
publisher di cui lo stesso Bolasco è diventato nel frattempo responsabile dell’area non-fiction (costa 18 euro, si compra e
online). Un titolo più
catchy e una copertina rivoluzionata, più pop.

NEW ENTRY. Matteo Baronetto (Del Cambio, Torino) e Riccardo Camanini (Lido 84, Lago di Garda) nel corso di una recente cena a 4 mani (foto Davide Dutto)

Antonia Klugmann, L'Argine (Vencò, Gorizia)
A contare, sono soprattutto i nuovi contenuti, cioè i ristoranti - e quindi i relativi cuochi o ristoratori - che non apparivano in “Cronache Golose”. Sono 11 in tutto, 4 dei quali rievocazioni dal passato remoto o prossimo e 7 insegne dai fasti attuali. È così che leggiamo con piacere del
Biffi Scala di
Alfredo Valli e della sua «costoletta monumentale in tutti i sensi». Di
Giacomo Morra, il “profeta della trifola” e “inventore del tartufo bianco d’Alba”, un signore che ha “trasformato un fungo bitorzoluto in una pietra lunare”. Di
Armando Zanetti della
Vecchia Lanterna, a metà strada tra Torino e il Parco della Mandria, «uno dei cuochi che hanno traghettato la cucina italiana dai palazzi di nobiltà nei primi ristoranti gourmet del secondo dopoguerra». O della
Genziana di
Giancarlo Godio, un signore, scrivono
Bolasco e
Trabucco, che passò dalla mensa dei lavoratori dell’Enel alla prima stella Michelin dell’Alto Adige, accesa nella Val d'Ultimo, anno 1978.
E i ristoranti contemporanei? Si aggiungono al ricco mazzo il
St.Hubertus di
Norbert Niederkofler con la sua filosofia “Cook the mountain”, la cucina pop del
D’O di
Davide Oldani, l’ascesa al
Villa Crespi di
Antonino Cannavacciuolo,
Enrico Bartolini e il suo «Vincere da regista», al Mudec di Milano e altrove, «L’eleganza del filologo»
Riccardo Camanini (
Lido 84), «L’orizzonte spostato” a piccoli passi» da
Matteo Baronetto al
Cambio di Torino e l’epopea «Di cuore e coraggio» di
Antonia Klugmann dell’
Argine di Vencò, Gorizia. Chiude il volume un'utile appendice: i nomi e gli anni di tutti i ristoranti italiani stellati Michelin, dal 1959 a oggi.