Mi sono avvicinato al mondo della cucina quando ero molto piccolo. Trascorrevo le mie giornate tra la scuola e una piccola pasticceria di Martina Franca, la mia città. Mi sono appassionato da subito a questo lavoro apprendendo da un anziano signore le basi della pasticceria tradizionale italiana.
Ho continuato con l’alberghiero di Castellana Grotte: trascorrevo il mio tempo libero in un ristorante in cui ho avuto modo di conoscere chef di esperienza internazionale. Grazie ai loro racconti e all’esperienza di mio fratello, a sua volta cuoco, ho compreso che la cucina sarebbe stata la mia prima casa. Terminati gli studi, ho iniziato con le esperienze lontano da casa: in Sardegna, poi in Germania - una tappa importante con lo chef Guglielmo De Bonis – poi ancora all’hotel Cipriani di Venezia e al Cambio di Torino.
Concluso questo periodo, sono approdato nel ristorante che sarebbe diventato da lì a poco un punto importante per la mia carriera: Villa Fiordaliso, accanto a Riccardo Camanini. Un periodo fondamentale, in cui ho iniziato a modificare la mia concezione di cucina che, per certi aspetti, era ancora a me sconosciuta. Sono stati due anni intensi, in cui ho imparato tantissimo ed ho iniziato ad avvicinarmi alla cucina francese grazie alle precedenti esperienze di Riccardo. Sarà proprio lui che al termine di questo periodo mi darà l’opportunità di approdare in Francia.

Conchiglia di pompelmo brûlé, zuppa di ricci di mare servita calda, pelle d’anatra croccante con foie gras en amertume e granita iodata, piatto in cata al Pavillon Ledoyen (foto Philippe Vaurès)
A mio avviso, la cucina italiana non ha niente da invidiare a quella francese, ma credo che fare esperienza Oltralpe resti un passaggio obbligato per la formazione di un cuoco. Sono da sempre affascinato dalla storia gastronomica di questo paese, dall’impressionante quantità di maestri -
Alain Chapel,
Paul Bocuse, la dinastia dei
Troisgros - e dal grande numero di loro eredi. Non mostrano in alcun modo i segni del tempo. Mi affascinano il loro rigore e la costanza, caratteristiche bene impresse nel loro dna.
Comincio a lavorare all’Atelier di
Joël Robuchon, un ambiente molto duro e totalmente differente dalle mie precedenze esperienze. Il ristorante all’epoca era guidato da alcuni dei più stretti collaboratori di
Robuchon. Questo mi ha permesso di apprendere le vere basi della cucina francese e di comprendere la vita e la professione di uno chef capace di gestire diversi ristoranti nel mondo, tutti con un altissimo standard.
Dopo questa fantastica esperienza, sono tornato in Italia alla
Pergola di
Heinz Beck e successivamente al
Cafè Les Paillotes, sempre sotto la supervisione dello chef tedesco. Ma sentivo l’esigenza di fare qualcosa di totalmente diverso e quindi decisi di partire per l’Australia. Volevo scoprire un nuovo territorio e un nuovo modo di lavorare. Sydney era un mondo nuovo: alternavo periodi di lavoro intenso a scoperte di nuovi territori (Nuova Zelanda, Fiji…), ricchi di prodotti da poter studiare.
ALLENO. Seguo il lavoro e lo stile di Yannick Alléno da tempo. Quando Camanini mi spinse a fare una nuova esperienza in Francia, uno dei posti in cui mi sarebbe piaciuto lavorare era sicuramente il Meurice, ristorante d’hotel in cui all’epoca lavorava proprio Alléno. Ma non fui preso e optai per Robuchon. Dopo il mio viaggio in Australia, mi proposi subito per Pavillon Ledoyen.

Martino ai tempi di Sydney
In Francia e non solo il nome di
Alléno è associato al grande rigore e all’eccellenza della cucina francese moderna. È uno dei cuochi più avanguardisti e creativi. Adoro la sua filosofia, sempre in continua evoluzione. Una delle cose che mi ha colpito di lui, è stata la capacità di rivoluzionare il suo modo di fare cucina, un cambiamento a dir poco drastico rispetto all’esperienza passata: nessuna concessione all’estetica ma solo la ricerca assoluta del gusto e del piacere. Con la sua cucina moderna sta gettando le nuove basi della cucina francese: nuove salse, estrazioni, fermentazioni. Sono fiero di far parte di questo ambizioso progetto.
Lavoro al
Pavillon Ledoyen da più di due anni. Ho cominciato come
sous chef e oro sono
chef adjoint. Oltre al servizio, mi occupo principalmente dello sviluppo e della ricerca di nuovi piatti e prodotti. Ogni giorno è sempre diverso ed emozionante. Abbiamo obiettivi importanti. Passiamo tantissimo tempo con
Alléno a sperimentare e provare. Lo chef ha un gran palato e questo per me è fondamentale: ogni volta che gli faccio assaggiare qualcosa sa sempre indirizzarmi sulla strada da seguire. Ci piace allargare gli orizzonti. Non abbiamo limiti di nessun genere e questo per me è molto stimolante.
La sua cucina è molto identitaria. Cerca di essere il più originale possibile ma mai a discapito del gusto. Potrei dire che qui ho cominciato veramente a cucinare, ad avere pazienza e a prendere in considerazione il tempo di cui si ha bisogno per creare qualcosa di nuovo. Essere al fianco di uno chef e di un team come il suo è fondamentale.
Ora ci stiamo preparando all’apertura del nuovo ristorante: i lavori dovrebbero finire a settembre 2017. Sarà un ristorante sensazionale.