Sabato 27 febbraio Berberè ha aperto il suo quarto locale a Torino. Come ci piace fare, non è un locale uguale agli altri, non è una situazione uguale alle altre vissute in passato. C’è solo una cosa che li accomuna tutti: la voglia di portate avanti la nostra idea di pizza e tutto il fantastico mondo che ci sta attorno. L’idea da cui siamo partiti era semplice: prendere la pizza in quanto cibo semplice, dalla storia incredibile, facile da comunicare, trasversale nel mondo, e renderla un prodotto vero. Per realizzarlo, abbiamo ripercorso la storia dell’umanità – perché la lievitazione e la coltivazione dei cereali hanno una storia millenaria – e abbiamo scoperto che era possibile creare un prodotto autentico e genuino. Partendo dall’impasto, dalla scelta delle farine e da tutto quello che viene messo sopra, il condimento. Questa è stata la nostra piccola rivoluzione.
E così che, come abbiamo sempre fatto da quel lontanissimo 8 dicembre 2010, Massimo Giuliana, il nostro chef di pizza, e Ylenia Esposto, responsabile area manager, si stanno impegnando a trasferire i nostri principi di produzione e servizio al nuovo team torinese, che in cucina sarà seguito da Gazy Khalequzzaman, giovane e volenteroso pizzaiolo che si è fatto le ossa per quasi 3 anni nel nostro ristorante di via Petroni a Bologna e che a Torino porterà la sua esperienza, il suo entusiasmo e le conoscenze apprese, rispondendo con la qualità ai commenti razzisti di chi pensa (ci è capitato di leggere anche questo su TripAdvisor) che un bravo pizzaiolo debba essere "italiano", un concetto che oggi nel 2016 suona da Medioevo. Il miglior pizzaiolo del 9° Campionato Internazionale del Pizzaiuolo Napoli-Trofeo Caputo è un giapponese (Akinari "Pasquale" Makishima), così come il nostro talentuoso Mia Faysal che nel 2014 si è classificato terzo nel concorso Pizza Chef Emergente: credo che sia giusto premiare chi porta avanti la tradizione al suo meglio e la preserva, al di là del suo colore di pelle o provenienza.

Questa modalità di trasmissione delle conoscenze l'abbiamo già sperimentata con successo per il nostro terzo locale a Firenze, il primo fuori dai nostri confini regionali e quindi per noi prova di maturità, nel quartiere più fiorentino che ci sia in città: Borgo San Frediano. A Torino abbiamo scelto di sposare il progetto di don
Ciotti e prendere uno spazio all’interno del centro commensale
Binaria, dove si trova la libreria
Torre di Abele, la bottega con i prodotti di
Libera e del
Gruppo Abele, che qui ha la sede, uno spazio di antiquariato e uno dedicato ai laboratori per bambini e bambine. Il complesso è spazioso, la cucina a vista si trova in fondo alla sala, illuminata da neon e lampade che il nostro architetto
Giambattista Ghersi ha recuperato dalla ex fabbrica dove oggi sorge il nuovo complesso, mentre attraverso il lavoro di
Comunicattive, l'agenzia di marketing e comunicazione che segue fin dall'inizio la nostra avventura e che ha curato anche a Torino tutto il progetto creativo, è stata data un'impronta molto colorata, giovane e contemporanea a tutto il locale, grazie alle grafiche realizzate
ad hoc, agli allestimenti, all'arredamento e alla scelta dei
wall painting realizzati dalle
To/Let e da
Andrea Bruno. Uno spazio dove ci sono anche tavoli grandi, per promuovere la condivisione, come facciamo noi in questo luogo con le splendide realtà esistenti e come invitiamo a fare con la nostra pizza già tagliata a spicchi, pronta da condividere, appunto. Siamo al quarto progetto stabile, il quinto se consideriamo l’avventura temporanea di Expo 2015. Eppure ogni apertura regala emozioni e aspettative diverse. Di sicuro questo è stato il cantiere più gentile, più rilassato, più bello di tutti: l’energia e il messaggio di don
Ciotti influenza tutti, impossibile restarne fuori.
Quando l’ho conosciuto, don
Ciotti, a Expo, ricordo di averlo visto aspettare sotto al sole cocente il nostro amico
Lucio Cavazzoni di
Alce Nero, in ritardo perché stava scaricando dei tavoli (pesantissimi) per il nostro spazio, portandoli a mano da chilometri di distanza. Lo ha subito aiutato andandogli incontro, entrambi sorridenti e non sbruffanti come molti giovani. Che esempio,
Lucio e
Luigi! Per il cambiamento serve sforzo.
Con mio fratello Salvatore, abbiamo dato vita a un progetto caratterizzato da punti fermi, fermissimi: la pizza deve essere sempre buonissima, servita gentilmente, in locali bellissimi. Tutto il resto può avere deroghe. Per questo motivo abbiamo deciso di non fare franchising con la nostra insegna, ma di seguire sempre personalmente ogni locale e la formazione del suo personale, così che le regole fissate rimangano ferme a Castel Maggiore, a Bologna, a Firenze, a Torino e speriamo presto a Milano e a Venezia.

Come fare? C’è tantissima fatica dietro: c’è da organizzare una struttura solida che possa dare la possibilità alle persone di lavorare al meglio, non avere distrazioni e problemi, in modo da rimanere concentrate sulla nostra mission: bontà delle pizze, gentilezza del servizio, bellezza del luogo. Il nostro primo impegno è quello di formare i pizzaioli, non solo dando una ricetta su un foglio a4, ma trasferendo un vero e proprio mestiere, con la trasmissione di nozioni tecniche e non (che spaziano dalla fisica alla chimica quando si parla di impasti, dalla matematica al marketing per gestire al meglio l'attività) ma anche di vissuti, esperienze e passione.
Il mestiere si apprende nel tempo e con la volontà. Vogliamo trasferire la sensibilità riguardo alle ricette e ai prodotti che usiamo a chi dovrà poi spiegarli a chi è seduto al tavolo. È la parte più impegnativa per noi ma, come spesso accade, è quella che dà maggiori soddisfazioni perché diffondiamo a giovani ragazze e ragazzi conoscenza, rispetto e amore per tutto il mondo che gira attorno alla pizza: coltivatori, allevatori, pizzaioli, camerieri, fruitori. Questo è ciò che intendiamo quando parliamo di artigianalità. È proprio questo che sotto sotto ci carica ad andare avanti. È questo che don Ciotti fa da decenni, da 50 anni. Ci ha raccontato che tanti anni fa aveva aperto la pizzeria del Gruppo Abele, si chiamava Il punto della situazione. Oggi Berberè si è avvicinato al Gruppo Abele proprio perché ha fatto il punto della situazione. Non per solidarietà, ma per responsabilità imprenditoriale.